Premessa:
da molto tempo vorrei esprimere in qualche modo il mio sentimento rispetto al tempo.
All’orizzonte da darsi per vivere bene.
Ho sempre amato il TEMPO CIRCOLARE, l’eterno presente della natura e dei miti di incessante disgregazione e rigenerazione plasmati da sempre e ovunque secondo la ciclicità degli eventi naturali.
In questo Tempo c’è una grande sicurezza, c’è un sacro senso della vita che viene accettata in tutte le sue manifestazioni, c’è – c’era per gli uomini – una totale adesione alla natura come accade agli animali e alle piante.
Molte volte ho desiderato di poter godere l’esistenza come fa un albero, completamente attraversato dal sole, completamente ancorato alla terra, per cui non esiste morte ma solo trasformazione, non esiste confronto ma solo espressione, non esiste individuo ma solo la specie.
Senza ri-flessione alcuna.
Con altrettanta chiarezza ho sempre visto la selezione naturale del popolo più aggressivo e/o prolifico – con perdita continua di culture legate al luogo e in equilibrio con la natura – non come evoluzione ma, alla luce della finitezza della terra, come un vicolo cieco .
Ho sempre visto la nascita della logica come un inizio di separazione tra l’uomo e la sua essenza costitutiva: la logica è solo utile ( A=B ecc… ma non esistono nemmeno due granelli di polvere davvero uguali, e le cose possono essere diverse in mille modi ), la matematica è solo utile (un’astrazione che velocizza, ma in funzione di un risultato, cioè di un Senso, priva del quale è un auto senza guida o un’assurdità -vedi paradosso della freccia di Zenone).
Ma siccome è MOLTO utile, è stata assolutizzata.
Il mondo è stato assolutizzato, cioè digitalizzato, e se adesso non ha un senso – si pensa – di sicuro lo avrà:
il Come ha completamente soppiantato il Perché.
Lo chiamo il TEMPO VETTORIALE
Con Alan Watts, direi
“…Galileo postulò che ci si dovesse limitare alle proprietà quantificabili. Da allora furono esclusi la vista, il suono, il sapore, il tatto, l’odore, ed insieme ad essi l’estetica e la sensibilità etica, i valori personali, la qualità, la forma, i sentimenti, i motivi, le intenzioni, l’anima, la coscienza, lo spirito. In altre parole l’esperienza in quanto tale viene espulsa dall’ambito del discorso scientifico”
E siamo in epoca pre-quantistica, quando ancora si pensava alla realtà come oggettiva…
Il mio percorso esistenziale è stato tutto contro le schematizzazioni, la sopravvalutazione delle parole,
la continua trasformazione dei simboli (catalizzatori inquietanti fatti di nulla, voci del mistero che ci abita)
in segni (oggetti rassicuranti e definiti),
trasformazione operata magistralmente dalle religioni,
superata solo dalla pubblicità che li trasforma direttamente in merce.
Rifiutando la droga delle Fedi nei Vari Dio, e quella delle Tecnologie, rifiutando il tempo vettoriale astratto, e non essendo di fatto – purtroppo o per fortuna – della stessa natura degli alberi, quale tempo potevo immaginare per l’uomo?
OLTRE IL TEMPO CICLICO RIFIUTANDO IL TEMPO VETTORIALE
Ho avuto più chiaro il concetto ideando l’Orologio Geologico,
che all’inizio si chiamava “passando sulla terra leggeri”,
con riferimento allo splendido titolo di un romanzo sulla storia dei Sardi.
Anche la roccia, l’entità più longeva e resistente ai nostri occhi, si trasforma, si disgrega in un tempo percepibile: dal blocco staccato dal monte si creano massi, poi ciottoli grossi, poi più piccoli, e i ciottoli più piccoli diventano sabbia, emblema della massima entropia in attesa di una nuova rigenerazione.
In questo percorso ad un certo punto il ciottolo si conforma bene alla mano dell’uomo, e l’uomo lo fa suo: tramite il ciottolo esprime il suo “dentro” – in questo caso semplici andamenti – organizzazioni mentali che diventano realtà concreta, idee che si fanno mondo, ma che del mondo fanno completamente parte, pur effettuando una piccola alterazione.
Ecco, la traccia della creatività umana, umile e rispettosa di ciò che ha intorno, gioiosa di esprimersi perchè esprimersi significa esistere,
esistere ad un livello che è natura – ovviamente – ma con qualcosa in più…
Rifuggendo le speculazioni filosofiche, preoccupato solo di mettere a fuoco ciò che sento dentro,
mi accorgo che proprio “ sentire” è una parola chiave.
Quante discussioni faticosissime per spiegare al mio socio – razionale – che “sento” una cosa in un certo modo, cercando inutilmente di farmi comprendere con argomentazioni che io per primo so insufficienti, inadeguate e fuori registro.
Una cosa che si sente non si può dimostrare, né imporre – la struttura psichica di che vive “ascoltando” è incompatibile con quella dell’aggressore.
Sentire richiede fiducia.
Sentire non è certezza, ma ciò che si sente non si può trascurare, si impone anche quando non è comprensibile.
Sentire non è sapere.
Un albero sa. Un animale sa. Non cercano risposte.
Un uomo vettoriale presume di sapere, perché la raffinatezza e la potenza delle sue manipolazioni sembrano dare continue conferme: basta solo che nei calcoli, nei ragionamenti, nelle schematizzazioni, nelle pianificazioni, nelle elaborazioni non compaia mai la parolina che sta a fondamento della diversità umana : “perché?”
E in mezzo?
Essere uomini come – ossimoro – “animali insoddisfatti”?
Come trasformare l’inquietudine in arte, come testimoniare lo spirito astratto che ci abita senza per questo prendere la deriva dell’assoluto?
ab – solutus, slegato dalla materia, come se fosse rozza ovvia massa inerte, e non essa stessa un miracolo di energie rese visibili…
Qual è il confine che fa la differenza tra la creatività dell’uomo che per primo ha steso sassi davanti alla sua caverna per camminare meglio, e quella dell’ingegnere che progetta una centrale nucleare?
Se “sento” che una piazza in mosaico di ciottoli è bella, dà energia, è naturale, crea comunità ed esprime qualcosa dei simboli che abbiamo dentro, perché non dovrebbe esserlo la “Sagrada Familia” o il Burj Khalifa di 830 metri?
Eppure questa è roba “vettoriale”…
NON SONO SOLO: IL TEMPO PROGETTUALE
La risposta è arrivata. Incredibilmente.
Da un libro comprato assolutamente per caso al Balòn di Torino.
Di Umberto Galimberti: “il gioco delle opinioni” –Cap.1: le metamorfosi di Crono
E a questo punto posso finalmente solo citare, lasciando spazio a chi sa comunicare molto meglio di me…
“…ma mentre l’alba dell’uomo abitava questa figura del tempo (ciclica, irreversibile, uniforme), sulle alture del Caucaso Prometeo strappava agli dèi, prima del fuoco e della tecnica, un’altra temporalità senza la quale né il fuoco né la tecnica avrebbero senso. L’uno e l’altro infatti sono in vista di uno scopo che né il cielo né la terra, percorsi da un tempo ciclico, possono ospitare …. Questa temporalità non guarda il passato, ma il futuro: a presiederla non è la figura del ritorno ma quella del perseguimento del bersaglio ….
Rispetto al tempo ciclico che era il tempo della natura in ordine agli individui, il tempo progettuale è il tempo dell’individuo in ordine alle sue intenzioni che, misurate sul tempo ciclico, altro non possono avere se non l’amaro sapore delle illusioni, puro e semplice gioco – direbbe Nietsche – rispetto al tempo senza meta.
Il campo di gioco è qui definito dall’oggi e dal domani, ossia da quel breve intervallo che corre tra elezione dei mezzi da adottare nella situazione presente e realizzazione dei fini in un futuro strettamente connesso al presente, altrimenti ne potrebbe risultare una sostanziale inefficacia dei mezzi.
Dominante in questa temporalità è il tempo opportuno, che i greci nominavano kairòs, una parola il cui primo significato è quello di giusta proporzione.
… si tratta di unire e annodare armonicamente il recente passato che conferisce al presente le condizioni per operare sull’immediato futuro.
Solo nel buon intreccio di questo nodo qualcosa può configurarsi come scopo.
Se invece il nodo si dilata e il futuro da relativo diventa assoluto, se l’interrogazione non riguarda il domani ma l’ultimo giorno, la progettualità si dissolve a favore della …. temporalità dell’eschaton …. la forma superlativa di ek, che significa fuori.
L’eschaton è dunque ciò che è fuori portata. Non è nelle mani dell’uomo che può abitare solo il tempo progettuale, non è nelle espressioni della natura che non conosce un fine perché la sua ciclicità precorre il ritorno.
Questo tempo in versione religiosa è il tempo di Dio, in versione atea è il tempo dell’utopia. In comune queste versioni sono percorse dalla convinzione che la storia dell’uomo abbia un senso o già scritto all’origine del tempo o da realizzare col tempo…”
e per concludere ancora un breve passo, che risuona luminosamente di misticismo induista o zen:
“Non ci sono gli uomini e poi il tempo.
Il tempo non è fuori di noi o dentro di noi.
Il tempo è la trama con cui l’anima svolge sé stessa in una metamorfosi di figure.”
Non albero e non fissato su salvezze lontane.
Niente di più e niente di meno di un uomo – come diceva Ritsos.
Aggiungo solo che là dove l’uomo ciclico sopravvive e accetta,
dove l’uomo vettoriale guarda fisso il traguardo per ignorare l’abisso,
l’uomo progettuale – e anche l’acciottolatore – SENTE ed esprime.
Questa definizione la trovo molto più profonda e vera di artista e più precisa di artigiano.
Grazie di cuore a Umberto Galimberti, da un uomo progettuale …
Luca Riggio
testi e immagini sono di Luca Riggio
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